Imu e Tsai riducono la propria incidenza rispetto all’anno precedente, redditualità in negativo per i fondi immobiliari e decisa tendenza delle Sgr a esternalizzare alcune delle attività non core per ottimizzare costi e ricorrere a competenze specifiche. Sono queste le principali evidenze che emergono dal 6° Monitor sulla Finanza Immobiliare: lo studio realizzato dall’Università degli Studi di Parma in collaborazione con Caceis Investor Services (asset servicing del Gruppo Crédit Agricole) che si pone l’obiettivo di analizzare gli investimenti finanziari dei fondi immobiliari italiani.
La ricerca, quest’anno, ha visto la partecipazione di 17 società di gestione attive nel real estate e ha preso in analisi 57 fondi immobiliari di cui 24 quotati, per un totale di attività a fine 2014 di 10,57 miliardi di euro.
Dallo studio, dal punto di vista reddituale, emerge la perdita significativa di esercizio riportata nel 2014 dai fondi immobiliari oggetto del campione, pari a -310,7 milioni di euro, in modo coerente con quanto già accaduto nel 2012 e in aumento del 48% rispetto al 2013. Tale perdita è principalmente dovuta a risultati negativi nella gestione degli strumenti finanziari ma anche alla gestione degli immobili che in valore assoluto rappresenta il 38,2% della perdita complessiva del campione. Nel 2014, Imu e Tasi rappresentano circa il 19% della perdita d’esercizio complessiva registrata dal campione, riducendo la propria incidenza rispetto al 28,7% del 2013 e al 20% circa del 2012.
Il Monitor sulla Finanza Immobiliare ha sondato anche la predisposizione delle Sgr immobiliari a esternalizzare alcune funzioni non core. Il panel degli operatori ha indicato nel property e nel facility management le attività che più frequentemente vengono affidate in outsourcing, seguite da: valutazione del patrimonio immobiliare, gestione legata agli immobili, contabilità, valutazione del rischio, attività di back office, analisi e valutazione dei derivati, compliance e internal audit.
"La motivazione economica di ricerca e ottenimento di economie di scopo e di scala resta ed è importante, insieme alla necessità di avere una struttura flessibile per gestire al meglio i cambiamenti del mercato - ha commentato Giorgio Solcia, managing director di Caceis in Italia - ma l’obiettivo primario è quello di cercare elevata competenza per ciascuna delle attività affidate all’esterno. L’orientamento delle Sgr è quello di essere votate alla specializzazione e, probabilmente, di occuparsi esclusivamente delle attività core, come la gestione. Non si dimentichi che in alcuni casi poi la cessione a terzi di attività e funzioni è stabilità per legge", ha concluso Solcia.
In termini di asset allocation, i fondi analizzati detengono una quota di asset immobiliari (immobili e diritti reali immobiliari) pari all’80%, in lieve calo (-3%) rispetto alla rilevazione precedente ma pur sempre più elevata del livello minimo del 66,67% imposto dalla legislazione e dai regolamenti. La prevalente destinazione d’uso di questi asset è il terziario direzionale, seguito da commerciale, residenze sanitarie assistenziali e hotel. Prevale, inoltre, da un punto di visita geografico, la scelta di immobili situati al Nord Ovest e al Centro.
L’analisi del portafoglio dei fondi, realizzata da Monitor sulla Finanza Immobiliare, indica poi come sia aumentato il ricorso agli strumenti finanziari (questa asset class pesa oggi l’11,6% degli attivi, nel 2013 era il 10,4%). All’interno di questa categoria, oltre la metà (52,7%) sono le partecipazioni non quotate di cui la maggior parte di controllo "spesso in società immobiliari con cui il fondo detiene rapporti a vario titolo strategici". Il 10,5% (era l’8,8% nel 2013) degli strumenti finanziari è rappresentato da titoli di debito, mentre le quote di Oicr per lo più non quotati, pesano per il 36,6% (era il 38%). Quasi del tutto nullo (pari allo 0,02%) il ricorso a strumenti derivati.
"I fondi immobiliari - ha commentato Claudio Cacciamani, professore del Dipartimento di economia dell’Università degli Studi di Parma - prediligono investimenti non quotati e ciò avviene a discapito di una maggiore esposizione verso rischi legati alla solvibilità e alla trasparenza delle controparti e rischi di liquidità, connessi alla possibilità che uno strumento non possa essere smobilizzato rapidamente e a un prezzo appropriato a causa dell’assenza di un mercato regolamentato".