ECONOMIE IN RALLENTAMENTO, NESSUNA VIA DI USCITA A BREVE Il punto di vista sui mercati di Maurizio Novelli e Fabrizio Biondo di Lemanik
19/05/2016 L'Esperto dice...

La situazione macroeconomica è molto diversa da quello che dice l’andamento dei mercati. Dopo il 2014, ci troviamo in una fase di debolezza strutturale del ciclo economico, tanto che le valutazioni azionarie negli Stati Uniti sono difficilmente sostenibili, l’Europa è debole e l’oro ha iniziato una nuova fase che in prospettiva si configura come un bull market. La recessione però non è dietro l’angolo, ma le probabilità che si verifichi entro due anni si alzano sempre di più. Si è parlato di tematiche macroeconomiche al workshop sui mercati finanziari organizzato a Milano da Lemanik e Maurizio Novelli (nella foto, ndr), gestore del Lemanik Global Strategy Fund, ha spiegato che i meccanismi alla base del rallentamento, ormai in corso dal 2015, non sono fenomeni di breve periodo perché si basano su fattori di natura strutturale. In particolare, secondo Novelli, i mercati emergenti, dopo la crisi del 2008, hanno impresso una forte spinta al credito e alla crescita per cercare di contrastare il deleverage in corso in Europa e negli Stati Uniti. Grazie a questo stimolo, guidato dalla Cina, il mondo ha evitato di ricadere in recessione, ma è rimasto ancorato alla crescita cinese e agli stimoli americani per cercare di sfuggire a una stagnazione globale. Le Banche Centrali dei Paesi sviluppati hanno cercato le svalutazioni competitive, che si sono dimostrate inutili nel contesto di stagnazione. Sono stati quindi commessi degli errori per dare una risposta a problemi che non possono essere risolti dalle Banche Centrali. La Federal Reserve, secondo Novelli, ha fatto credere che l’economia americana fosse forte, e ha iniziato ad alzare i tassi. La crescita però è subito diminuita, ma non a causa del rialzo dei tassi, ma per altre motivazioni. I driver della crescita negli anni passati sono stati il rialzo delle vendite al dettaglio, la vendita di automobili e gli investimenti nel settore energetico. Oggi, gli ultimi due sono in contrazione. Oltretutto, le politiche della Fed hanno impresso una rivalutazione della moneta americana con conseguenti danni all’indebitamento in dollari dell'area degli emergenti che hanno iniziato ad adottare significative svalutazioni monetarie, inducendo l’aumento del costo del debito. Nell'agosto scorso, la Cina ha abbandonato il cambio fisso con il dollaro e la fase di deleverage dell’economia cinese si è aggiunta a quella in corso in tutta l'area. La situazione in Europa, invece, è in miglioramento, ma questo, ha ricordato Novelli, è dovuto al fatto che il ciclo è sfasato di sei mesi, quindi l’aspettativa è di un rallentamento prossimo. Novelli ha poi posto l’accento sugli indicatori utilizzati dalle Banche Centrali, facendo l’esempio della curva di Phillips, secondo cui se cresce l’occupazione, cresce anche l’inflazione. Ma questa relazione non funziona più già da tanto tempo, ha osservato Novelli. Da inizio anno l’oro è tornato a crescere, perché le promesse di rialzi dei tassi non sono più credibili.

Fabrizio Biondo, gestore del comparto Lemanik Active Short Term Credit, ha comunque osservato che, finchè non ci sarà una recessione, le politiche monetarie proseguiranno sulla scia di quanto fatto fino a oggi. Il gestore, ad ogni modo, si è detto scettico su un’ulteriore discesa dei tassi, perché i sistemi previdenziali sono già sotto pressione e le banche hanno margini molto bassi. I problemi veri, secondo Biondo, potranno manifestarsi alla prossima recessione, vista come probabile entro due anni, ma non subito, e allora le soluzioni possibili saranno o il taglio del debito, oppure il "Qe for the people", ovvero iniezioni di denaro direttamente nei conti correnti della popolazione, per stimolare i consumi. I problemi del sistema economico, infatti, sono l’eccessivo ammontare di debito globale, sia pubblico che privato, che come ricorda l’Ocse, quando raggiunge livelli superiori al 250% del Pil cessa di avere ricadute positive sulla crescita economica, e l’eccesso di risparmio, dovuto a trend demografici, alla distribuzione diseguale dei redditi e al cambiamento delle politiche delle Banche Centrali dei Paesi emergenti. Le conseguenze di una recessione, quindi, sarebbero molto pesanti sui mercati, imponendo un ricorso sempre maggiore a investimenti alternativi e a investimenti protettivi contro scenari estremi.

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