RENDIMENTI ATTESI SU EQUITY E BOND PIÙ BASSI DELLE ASPETTATIVE I fund buyer interpellati da Gam preferiscono la gestione attiva per proteggersi
13/06/2018 In Primo Piano

Con la fine dei programmi di quantitative easing da parte delle Banche Centrali, che hanno creato una corsa verso investimenti rischiosi la quale, a sua volta, ha portato alla ribalta la gestione passiva, favorita da mercati che vanno in un’unica direzione, “la volatilità è tornata, creando le migliori condizioni per la sovraperformance dei gestori attivi”. Lo ha affermato Alexander Friedman, Ceo del Gruppo Gam, il quale è convinto che, nei prossimi anni, sia lecito attendersi rendimenti su azioni e obbligazioni più bassi di quanto si aspettino gli investitori, abituati alle performance gonfiate da anni di politiche monetarie accomodanti.

La ricerca commissionata da Gam su un campione di 300 fund selector, ha evidenziato che “il 69% degli intervistati preferisce la gestione attiva in presenza di una crisi”, ha spiegato Riccardo Cervellin, country head per l’Italia di Gam. Alla domanda sugli investimenti preferiti nella costruzione di portafogli nel caso di due crisi nell’arco dei prossimi 10 anni, infatti, i fund selector hanno indicato per il 30% solo prodotti attivi e per il 39% principalmente prodotti attivi, con un 29% che predilige un mix bilanciato e solo il 2% che utilizzerebbe solo o prevalentemente prodotti passivi.

Stiamo riscontrando grande interesse da parte degli investitori per le soluzioni in grado di offrire nuove fonti di rendimento”, ha spiegato Friedman. Si tratta, in particolare, “di strategie che offrono canali alternativi di rendimento”, ha proseguito Friedman, “come ad esempio i titoli insurance linked o gli Mbs, di strategie azionarie attive che battono frequentemente i benchmark e di strategie quantitative sofisticate e diversificate”.

Il Gruppo Gam punta particolarmente sulle strategie sistematiche, nel cui ambito Friedman vede un’evoluzione verso strategie che offrono un mix tra gestione quantitativa e fondamentale. In Italia, però, il mercato è ancora diffidente verso queste soluzioni, tanto che il 34% dei fund selector intervistati non le utilizza e il 66% lo fa solo marginalmente. “Il nostro ruolo è quello di fare education presso gli investitori riguardo questi temi”, ha ricordato Cervellin, che poi sottolinea come i fund buyer in ogni caso sono consapevoli dello sviluppo che queste strategie avranno nel corso degli anni, favorite dall’enorme quantità di dati che potranno essere elaborati.

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