LEMANIK: "LA RECESSIONE? TUTTI LA NEGANO MA E' GIA' QUI" Il commento di Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy
26/10/2022 Redazione MondoAlternative

Il rapido deterioramento della congiuntura internazionale preannuncia con grande anticipo l’arrivo di una recessione che i policy maker cercano di negare in tutti i modi. A sottolinearo è Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy, secondo il quale "anche le previsioni degli analisti sui profitti delle società quotate Usa non sembrano prevedere nessun problema in arrivo, dato che le attese di consenso evidenziano, per ora, ancora una crescita di circa un 8% degli EPS nel 2023. Tutto questo “ottimismo” sembra poco credibile ma evidenzia un sistema che fatica a riconoscere il cambiamento di scenario in corso. Prima della crisi del 2008, i mercati continuavano a salire nonostante gli evidenti segnali di crisi nel settore immobiliare e dei titoli subprime (infatti l’indice SPX si è mantenuto sui livelli vicini ai suoi massimi fino al dicembre del 2007) mentre le banche evidenziavano già significative perdite sui MBS da marzo 2007. La FED di Bernanke negava davanti al Congresso qualsiasi problema in arrivo e trasmetteva segnali rassicuranti ai mercati finanziari. La vera caduta del mercato è iniziata nell’autunno del 2008, quasi un anno dopo i primi evidenti segnali di crisi", racconta Novelli. "Nella fase iniziale del ribasso, solo gli investitori più sofisticati uscirono dal mercato e aprirono posizioni short. Nella fase intermedia del ribasso alcuni investitori incrementarono le posizioni long credendo che il mercato fosse già sceso molto. La psicologia di acquisto dell’investitore parte dal presupposto che il livello di riferimento del mercato siano i massimi storici, poco importa se tali massimi siano insostenibili. Solo nella fase finale si procede alla liquidazione in massa delle posizioni. È in quest’ultima fase che si realizza il vero e proprio ribasso del mercato, dove tutti gli investitori diventano negativi e la caduta dei prezzi coincide con la costruzione dei veri minimi del ciclo ribassista. Siccome usciamo da 15 anni di Quantitative Easing e di politiche monetarie a tasso zero, le posizioni di rischio che si sono accumulate in questi anni non sono paragonabili a nessuna fase precedente di bull market", afferma l'esperto.

Secondo Novelli, la soppressione dei tassi d’interesse e del costo del debito per lungo tempo ha gli stessi effetti sul sistema paragonabili alla sospensione del codice penale. "Nel momento in cui è possible operare in un ambiente senza restrizioni e con la predisposizione a salvare chi prende più rischi, questo contesto innesca una predisposizione al rischio sempre più alta e permette di sostenere business che stanno in piedi solo grazie alla leva finanziaria (il 30% delle società quotate al Russell 3000 non faceva utili a fine 2021). Le Banche Centrali tendono a monitorare i rischi di sistema limitandosi a guardare nei bilanci delle banche, anche se prima del 2008 non facevano neppure quello. Attualmente però, i principali rischi di sistema non sono più ovviamente nelle banche ma nello Shadow Banking System, quella parte di mercato finanziario che comprende Mutual funds, Private equity, Pension funds, Private credit, SPAC, Cryptovalute, ecc. Per avere un’idea della deregulation che ha portato alla creazione di un sistema finanziario totalmente non monitorato, basta guardare alla dimensione di questi segmenti del mercato finanziario. Oggi la maggior parte dei mutui erogati negli Stati Uniti non passa dal sistema bancario, la maggior parte del credito subprime passa dal Private credit (1,5 trilioni), e i Leverage loans (1,4 trilioni) emessi per sostenere le attività di Private equity (6 trilioni) è solo in parte sui bilanci delle banche, dato che la maggior parte è collocata a Mutual funds e Fondi pensione. Solo nel sistema finanziario Usa, la dimensione dei mercati che sfuggono a qualsiasi regolamentazione (e quindi a qualsiasi monitoraggio del rischio di sistema) è pari a circa 9 trilioni di dollari su 20 trilioni di Pil. I Fondi pensione e i Mutual funds sono i principali investitori di tali asset e acquistano direttamente (o tramite cartolarizzazioni) gli strumenti ad alto rendimento emessi, in particolare, da Private equity e Private credit. Negli ultimi dieci anni la crescita del Private equity ha contribuito in modo significativo al finanziamento e alla crescita di IPO, Venture capital, SPAC, Fintech ecc., mentre il Private credit è diventato il principale finanziatore del credito subprime", evidenzia Novelli, che poi continua: "Tutto il credito che finanzia questi settori del mercato è di tipo speculativo. Coloro che cercano di monitorare il rischio di sistema guardando agli spreads e ai livelli di default sul comparto High yield non possono capire cosa sta accadendo veramente nel segmento non regolamentato del mercato".

Per il gestore del fondo Lemanik Global Strategy, "il problema è che la deregulation e i tassi a zero hanno creato una bolla di credito di dimensioni gigantesche in un settore che sfugge a qualsiasi controllo e monitoraggio da parte delle Autorità monetarie. In caso di recessione, le ripercussioni generate da un credit crunch in tali settori avrebbe un effetto molto pesante sull’economia reale, dato che è nel driver della crescita economica che si concentra la maggior parte del credito speculativo all’economia (il Private equity vale oggi il 30% del Pil Usa). Poiché in questo segmento di mercato operano soggetti non sottoposti a regolamentazioni, gli interventi di salvataggio non sono possibili. In questi anni di QE, il boom del Private equity e del Private credit, sono stati un importante driver di crescita del credito e dell’economia e il loro peso percentuale sul Pil è ora estremamente elevato. Mentre gli operatori guardano ai tassi di default su High yield e Carte di Credito, attualmente intorno al 2,5%, i prestiti in sofferenza sul Private credit sono già mediamente al 25% (Fonte: Mintos Private Credit), mentre nulla sappiamo di cosa sta accadendo nel segmento dei Leverage loans (1,5 trilioni di dollari). Tuttavia, una crisi di insolvenze in questo settore avrebbe certamente un impatto collaterale importante sul resto dell’economia, data la dimensione raggiunta e i volumi intermediati. È evidente che, considerando questi aspetti “nascosti” del mercato finanziario americano, è abbastanza difficile fare previsioni sulla reale profondità di una possibile recessione e dell’impatto che potrebbe esserci sulle variabili finanziarie “visibili” (Equity e Corporate Bonds)", afferma Novelli.

Se, come sembra altamente probabile, avremo una recessione, per Novelli la vera discesa dei mercati finanziari si verificherebbe solo allora, quando si realizzerà un’impennata di default nel settore del Private credit, un’ulteriore crisi del Private equity e, alla fine, una decisa revisione al ribasso degli utili attesi per le società quotate.

"Le recenti notizie delle perdite registrate dai Fondi pensione Usa sugli investimenti in Private equity e Private credit sono una spia di quello che sta accadendo e conferma quello che sto dicendo. Anche le perdite nel segmento di business dell’investment banking delle principali banche Usa, che sono state molto attive nei finanziamenti al Private equity e Fintech attraverso i Leverage loans, rafforzano questo scenario. Il boom di investimenti nel settore Fintech e Crypto ha assunto una dimensione veramente importante negli ultimi tre anni e non sappiamo esattamente quanto sia il peso di tali investimenti sul fatturato delle società tecnologiche. La miscela perversa di crisi di credito nel segmento Private e l’impatto collaterale sul settore Fintech possono innescare un significativo cedimento del ciclo che allo stato attuale sembra completamente sottovalutato", commenta Novelli, per il quale un ulteriore problema è l’attuale forza del dollaro a causa delle attese di rialzo dei tassi Usa. "La rincorsa monetaria della FED, per cercare di piegare un’inflazione che ha sottovalutato, innesca una serie di svalutazioni di euro, yen, sterlina e divise emergenti che provoca seri problemi di controllo all’inflazione importata. Mentre per la FED il dollaro forte è utile per limitare l’inflazione importata, per gli altri Paesi è un ulteriore problema. Infatti, le Banche Centrali delle principali economie sono obbligate ad innescare politiche restrittive per contrastare l’inflazione ma, a causa della svalutazione verso dollaro, l’inflazione importata diventa difficile da contrastare, imponendo di fatto politiche monetarie sempre più restrittive in un contesto di rallentamento dell’economia. In un mondo dove l’energia è pagata in dollari, la forza del dollaro aumenta l’inflazione fuori dagli Stati Uniti e accentua le politiche restrittive a Paesi che non le possono reggere. L’instabilità finanziaria scatenata dai policy mistake della FED non è mai stata così costosa per l’economia mondiale. Il controllo dell’inflazione Usa sarà pagato da tutti con una recessione piuttosto pesante e di non breve durata. La Cina, grazie all’accordo di fornitura di energia con la Russia, è meno esposta all’inflazione importata e può implementare politiche monetarie espansive; tuttavia l’economia cinese rimane esposta al rallentamento dell’economia mondiale e non riuscirà a sottrarsi alla difficile congiuntura internazionale. Bank of Japan è un’ulteriore dimostrazione della fase di crisi delle Banche Centrali: non può modificare la politica monetaria per evitare di provocare il collasso dei carry trades in yen, che non farebbero che accentuare il movimento ribassista dei Treasury Bond Usa e dei mercati finanziari. BOJ si trova così nell’angolo a subire un attacco speculativo contro yen senza poter intervenire, costretta a subire una svalutazione che produce ormai inflazione anche in Giappone ed erode il potere d’acquisto di un Paese abituato all’inflazione zero", precisa Novelli.

Secondo il gestore, "appare evidente che la mancanza di coordinamento tra Banche Centrali sul livello del dollaro è ormai una fonte di problemi che non si può risolvere innescando rialzi dei tassi a livello mondiale per fermare l’inflazione importata da Europa, Giappone ed EM. Si delinea dunque uno scenario di alta instabilità, sia per il ciclo economico che per le variabili finanziarie. Quando la FED dice che ci sarà un conto da pagare per rimetter l’inflazione sotto controllo, gli operatori dei mercati pensano che il conto verrà pagato da qualcun altro o che, dato l’attuale ribasso subìto dal mercato azionario, il conto è già stato pagato. Nella realtà, a giudicare dai problemi che stanno emergendo in alcuni segmenti del mercato finanziario, sembra che il conto finale potrebbe essere molto più alto di quello che la “consensus view” tende, come al solito, a credere. In base a tali considerazioni, la FED dovrà fermarsi nel rialzo dei tassi davanti all’inesorabile cedimento del ciclo mondiale, ma questo sarà fatto quando ormai la recessione sarà inevitabile (fine 2022). I probabili rimbalzi degli indici all’annuncio del cosidetto “Pivot”, potranno partire da 3400 di SPX e 3000 di Eurostoxx. Il rimbalzo dei mercati sarà però ostacolato successivamente da aspettative di netta revisione al ribasso dei profitti attesi, innescando quindi un’ulteriore fase ribassista che potrebbe culminare a 2500 di SPX, 2500 di Eurostoxx, 10.000 di DAX e 9000 di Nasdaq 100. I bonds governativi (US Treasury e BUND), attualmente in fase ribassista, inizieranno a recuperare terreno grazie al fatto che la recessione procurerà una decisa caduta dei tassi a 10 anni e oltre. Il dollaro avvierà quindi un trend di forte svalutazione contro le principali divise, correggendo l’eccesso di valutazione raggiunto in questi mesi e consentendo a BOJ di uscire dall’impasse, mantenendo i tassi a zero e innescando una rivalutazione di yen, e consentendo a BCE di essere meno restrittiva, grazie alla discesa del dollaro", commenta il gestore, che poi conclude: "Le asset class che potranno uscire vincenti alla fine di questo disordine saranno quelle degli EM che, nel frattempo, avranno accentuato la loro svalutazione relativa verso tutti i principali mercati, e si presenteranno all’inizio di discesa del dollaro con le valutazioni migliori in termini relativi. Le nostre strategie d’investimento sono pronte a cogliere questi importanti eventi che ormai sembrano inevitabili, fatti salvi eventuali ulteriori peggioramenti del quadro geopolitico, che imporrebbero una ulteriore spinta al dollaro e quindi un ulteriore peggioramento del contesto finanziario globale".

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