“Si avvicina il 9 luglio, quando Trump prenderà nuove decisioni sui dazi; le tensioni con l’Iran si intensificano; alcuni indicatori economici Usa mostrano segnali di indebolimento: l’estate potrebbe essere turbolenta, ma i mercati sembrano prezzare poche cattive notizie”, sottolinea Chris Iggo, Chief Investment Officer di AXA IM Core, che prosegue: “Per alcuni, la narrativa è negativa per le obbligazioni (rischi inflazionistici, nessun taglio dei tassi da parte della Fed, deficit pubblico) ma i bond offrono rendimento, liquidità e status di bene rifugio. Azioni e credito sono più esposti a un ritorno dei timori macro. I Treasury sono già in rialzo e i rendimenti tendono a calare d’estate. La strategia FAT (Forget About Trump) sembrava funzionare: l’S&P ha superato la soglia dei 6.000 punti per la prima volta da febbraio, altri mercati azionari hanno toccato nuovi massimi, e i rendimenti trentennali sono scesi di quasi 30 pb dal picco di maggio. Nonostante ulteriori dazi Usa, si spera in accordi commerciali e in una crescita rallentata, ma senza shock. La percezione prevalente è che il Presidente Usa non rischierà un altro tracollo dell’economia, e dei mercati”.
Un’estate surriscaldata
Secondo Iggo, “le speranze nate in primavera lasciano spazio ai segnali di un’estate lunga e difficile. Le previsioni restano incerte, ma anche i margini di rialzo sembrano limitati. I mercati, però, non sembrano attendersi un peggioramento dell’outlook. Per il resto del 2025, dalla Fed ci si attende un solo taglio da 25 pb. L’azionario tratta su multipli elevati, gli spread creditizi restano compressi. Dopo una fase di revisioni al ribasso sugli utili, le stime si sono stabilizzate, e con i multipli Usa ancora su livelli d’allarme, a sostenere il mercato restano i titoli tecnologici”.
Un nuovo shock dal Medio Oriente
“Oltre ai rischi legati a una nuova escalation delle tensioni commerciali, i mercati devono ora fare i conti con le nuove preoccupazioni geopolitiche legate alle tensioni con l’Iran”, evidenzia Iggo. “Come da attese, i prezzi del petrolio sono aumentati e i future sugli indici azionari sono scesi: spesso questi shock geopolitici hanno un impatto di breve durata sui mercati, ma il rischio di un aumento significativo dei prezzi del petrolio in caso di conflitto tra Iran e Israele aggiunge ulteriore incertezza macroeconomica”.
Quando, e se, i prezzi saliranno
L’inflazione Usa è in calo, ma dazi e petrolio potrebbero invertire la tendenza. “A maggio, l’inflazione al consumo è al 2,4%, (+ 0,1% m/m), mentre l'inflazione core è al 2,8%: la Fed non ha ancora centrato il suo obiettivo”, spiega l’esperto di AXA IM, che continua: “Finora i dati non mostrano un impatto evidente dei dazi sui prezzi al dettaglio, forse perché i rivenditori stanno ancora smaltendo scorte pre dazi. I rincari arriveranno con il reintegro degli stock a prezzi più alti per le importazioni. Prezzi del petrolio più elevati, dollaro debole e ulteriori dazi potrebbero spingere l’inflazione verso l’alto, complicando il compito della Fed. I rischi macro riaffiorano e la volatilità potrebbe aumentare. L’occupazione cresce, seppur più lentamente, e l’inflazione resta contenuta. Ma l’indice ISM manifatturiero è sotto la soglia dei 50 da ottobre 2022 (salvo gennaio e febbraio), i prezzi alla produzione salgono e i nuovi ordini restano deboli”.
Il rischio è costoso
Per Iggo, “il mercato azionario è quello più esposto a una correzione, man mano che i rischi macro e politici si concretizzano. Anche gli spread creditizi potrebbero tornare ad allargarsi, sebbene i fondamentali restino solidi. E i bond? Il mercato ha registrato un rally a giugno, ma credo che ci sia ancora margine, soprattutto se i dati inizieranno a esercitare pressioni sulla Fed per tagliare i tassi nella seconda metà dell’anno. Tatticamente, l’estate potrebbe favorire le performance del mercato obbligazionario; come minimo, ci sono tutta una serie di ragioni per attendersi un ritorno della volatilità: dazi, disavanzo, inflazione, tensioni sociali e shock geopolitici”.
Le obbligazioni sono ancora un rifugio?
“Nonostante l’aumento significativo del debito pubblico nella maggior parte delle economie avanzate, i rendimenti obbligazionari non hanno seguito una traiettoria crescente, restando in molti casi inferiori ai livelli del 2015. Questa discrepanza alimenta la visione ribassista di molti investitori, preoccupati per la sostenibilità fiscale e il rischio di un circolo vizioso tra debito e disavanzi. Tuttavia, la narrativa di una crisi del debito ricorrente non si è mai concretizzata: nemmeno nei momenti più critici, come durante la crisi dell’Eurozona del 2012, si è verificato un collasso, e i rendimenti dei Paesi periferici sono anzi calati”, afferma Iggo.
Debito, rischi fiscali e opportunità obbligazionarie nel breve periodo
L’esperto di AXA IM segnala come “i premi per il rischio stanno aumentando a causa del peggioramento delle prospettive fiscali: nonostante il basso coupon medio sul debito in circolazione, i costi per interessi sono in crescita dal 2022 e la riduzione della duration da parte degli uffici del debito riflette pressioni politiche per contenere tali costi. Il debito elevato limita gli spazi fiscali e alimenta i timori di monetizzazione del deficit, con effetti potenzialmente inflazionistici. Tuttavia, nel breve periodo i bond potrebbero offrire una buona protezione in contesti di avversione al rischio, come dimostrano recenti episodi in Francia e nel Regno Unito. Anche se il trend di lungo periodo può portare a rendimenti più alti, un deterioramento economico o un allentamento delle politiche monetarie potrebbe favorire i titoli obbligazionari rispetto alle azioni”, conclude Iggo.